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Sono avvocato e ho assunto volontariamente l'incarico di amministratrice di sostegno per un “caso sociale” su richiesta dei servizi sociali. Sapevo fin dall'inizio che questo compito non sarebbe stato facile, né che potrei potuto contare su un'equa indennità commisurata al mio lavoro (che, siamo onesti, rappresenta il principale motivo per cui molte persone si propongono come amministratori di sostegno).


Ho assunto diversi incarichi su richiesta dei servizi sociali per aiutare persone in difficoltà. In generale trovo interessanti i compiti dell’amministratore di sostegno, in quanto non ci sono aspetti puramente legali da trattare.


Tutti i casi per i quali ho assunto l'incarico riguardano persone relativamente autonome e quindi con basso bisogno assistenziale. Mi occupo delle loro questioni finanziarie e burocratiche; sono fortunata che andiamo d'accordo e qualche volta ci incontriamo per bere insieme un caffè. Spesso le persone che assisto mi ringraziano per il lavoro che svolgo.


Negli ultimi mesi mi sono occupata di un difficile caso, a cui ho dedicato tutto il mio tempo a disposizione con notevoli ripercussioni sul mio stato emotivo.
Ho deciso di scrivere questa relazione perché voglio chiarire che l’amministrazione di sostegno non può essere considerata solo un’attività pura di volontariato, ma può rivelarsi in certi casi un lavoro a tempo pieno, perchè non si è solo un rappresentante legale, ma anche un assistente sociale, un pratico “organizzatore” della vita della persona, etc.; soprattutto quando la persona è completamente sola, come nel mio caso.   


Un uomo anziano, senza parenti, non era in grado di gestire le proprie finanze e occuparsi delle sue cure. Data la situazione i servizi sociali hanno presentato un ricorso per richiedere la nomina di un amministratore di sostegno. 
Dopo la mia nomina ho fatto una ricognizione della sua situazione debitoria, saldato tutti i debiti in un anno, sono stata costantemente in contatto con i servizi sociali, i creditori, i padroni di casa. Ho presentato istanza al giudice tutelare per essere autorizzata a recedere da un contratto di affitto a mio avviso troppo oneroso, sono riuscita a trovare un appartamento pià economico, presentato domanda per l’inserimento in casa di riposo, ho richiesto il recesso da tutti i contratti a mio avviso inutili così da poter ridurre i costi a suo carico.  


Questa primavera il signore si è gravemente ammalato di Coronavirus ed è stato ricoverato in ospedale per mesi. Ho consegnato personalmente i suoi oggetti come il cellulare, occhiali ecc... al cancello dell'ospedale (trattandosi di un ricovero per COVID19 non potevo avere contatti con lui). Ero l'unica persona di riferimento per i medici. 

Le sue condizioni di salute sono migliorate dopo alcuni mesi e l’ospedale voleva dimettere il signore il prima possibile. Un ritorno nel suo appartamento non poteva essere garantita senza un’assistenza domiciliare 24/24h. Non era in grado finanziariamente di assumere una badante convivente, oltre ad non avere a disposizione una stanza per il suo pernottamento.  A causa della situazione epidemiologica da COVID19, le case di riposo avevano momentanemante sospeso i nuovi ingressi. Allora cosa dovevo fare?


Dato non posso cambiare il mondo e ci sono altre istituzioni che possono e devono fornire sostegno a chi ne ha bisogno, ho richiesto un incontro con i servizi sociali e i referenti del Comune. Cosa dovevamo fare con questo uomo solo? In che modo potevamo garantire la sua assistenza? Chi si occupa di cosa?  
Grazie a Dio ho incontrato persone dei servizi sociali e del comune che mi hanno garantito il loro sostegno.

Tramite i servizi sociali sono state nuovamente presentate le domande di inserimento in casa di riposo e ho preso contatti telefonici con i direttori di alcune strutture per anziani. Nel frattempo queste strutture sono state nuovamente aperte. Purtroppo l’emergenza sanitaria da Covid19 aveva determinato un alto numero di decessi nelle case di riposo e pertanto c’era possibilità di poter ottenere un posto in struttura. 


Nel frattempo era sorto un nuovo, grande problema: il beneficiario si rifiutava rigorosamente di trasferirsi in casa di riposo. Voleva tornare a casa. Ecco come ho agito come amministratrice di sostegno:  mi sono confrontata con il beneficiario in ospedale, gli ho illustrato la sua situazione finanziaria e quindi l’impossibilità di poter sostenere i costi dell‘affitto e dell’assistenza domiciliare. Non è stata una situazione semplice da affrontare per il beneficiario e per me come amministratrice di sostegno.


Finalmente è stato trovato un posto in casa di riposo. La situazione era nel frattempo conosciuta tra le varie istituzioni.
Ora dovevo occuparmi di liberare l’appartamento il più presto possibile, così da poter risparmiare il costo dell’affitto e poter coprire la retta della degenza in struttura. Avevo ricevuto nel frattempo l’autorizzazione da parte del giudice tutelare di liberare l’appartamento e smaltire gli oggetti di poco valore. 
Dove potevo conservare gli oggetti personali di qualcuno se non ha parenti? Come posso io, una persona estranea alla sua vita, rovistare tra i suoi effetti personali e sistemarli? Chi finanzierà lo sgombero e i lavori da eseguire nell'appartamento se non ci sono soldi?


Anche questa volta ho contattato il servizio sociale, che alla fine si è assunto le spese per lo sgombero e la pittura. Così ho potuto incaricare qualcuno per eseguire i lavori di sgombero... 
Un televisore, gioielli, ecc. avranno logicamente un certo valore economico. Ma che dire degli oggetti personali come gli album fotografici o altri ricordi che non hanno alcun valore per me, ma sono importanti per la persona beneficiaria?  


Per questo motivo sono stata diverse volte nel suo appartamento e ho rimediato alla situazione. Dal punto di vista umano per me era importante che il beneficiario potesse visitare per l‘ultima volta il suo appartamento e scegliere le cose che voleva portare con se in casa di riposo. 
Così ha organizzato, tramite il servizio di assistenza domiciliare, il trasporto del beneficiario nel suo appartamento, in parte già sgomberato.  Sorprendentemente la sua reazione è stata abbastanza calma, ma per me non è stata comunque una situazione semplice da affrontare. Dopotutto non c’erano altre opzioni e alla fine è stata fatta la scelta migliore per lui.
 Alcuni oggetti potevano essere portati in casa di riposo, molti altri dovevano essere smaltiti.


Naturalmente bisognava disdire contratti delle utenze domestiche, attivare il servizio seguimi delle poste, richiedere il cambio residenza, presentare la domanda per l’agevolazione tariffaria, incaricare addetti per lo sgombero, contattare i proprietari dell’immobile per la riconsegna delle chiavi ecc.


Per quel che riguarda gli aspetti finanziari, mi sono poi resa conto diverse volte che tutti coloro che erano coinvolti in questo caso erano pagati per il lavoro che svolgevano: le infermiere, l'assistente sociale, gli artigiani, l'impresa di pulizie, ecc. E‘ vero, come amministratrice posso chiedere un’equa indennità.. ma dipende dal patrimonio della persona (è per questo che le persone con patrimonio non hanno problemi ad ottenere un amministratore di sostegno...). Da alcuni anni è in vigore la legge provinciale che prevede il pagamento dell’equa indennità da parte della Provincia agli amministratori di sostegno di persone con basso reddito. Ciò è riconosciuto però solo a chi è iscritto all’elenco provinciale degli amministratori di sostegno e non ai parenti o liberi professionisti come me..

E qui mi chiedo: com’è possibile che io non possa aver diritto ad un rimborso delle spese di viaggio, per non parlare del compenso per le centinaia ore di lavoro che ho svolto per assicurare il benessere della persona beneficiaria?
Se avessi assunto il ruolo di amministratrice di sostegno per una persona facoltosa, per la quale forse avrei dovuto provvedere al pagamento della fattura mensile della casa di riposo e quindi non mi sarei dovuta occupare di chissà quale particolare attività, probabilmente avrei potuto contare su un’equa indennità.
Questo va contro ogni logica.  
Date le attuali disposizioni della legge provinciale i liberi professionisti (avvocati, dottori commercialisti, ecc.) si occuperanno di casi sociali solo occasionalmente nonostante l'alto numero di persone beneficiarie di amministrazione di sostegno che necessitano di un aiuto professionale (se hanno debiti o altri problemi legali).


L’emanazione di questa legge proviniciale è un buon risultato raggiunto dalla giunta provinciale, ma deve essere migliorata. 


 Da questa storia ho avuto comunque una mia soddisfazione personale
 
Il signore è ora a suo agio in casa di riposo. Sembra apprezzare l'ambiente in cui è stato inserito e l'assistenza che gli offrono. Probabilmente sapeva da tempo che non era più possibile stare a casa da solo, ma "dire addio" a una vita indipendente era troppo difficile per lui. Inoltre non sarebbe mai stato in grado di occuparsi da solo dello sgombero dell’appartamento, di organizzare il trasferimento in casa di riposo, di tutte le questioni burocratiche a causa dei suoi motivi di salute. Alcune persone che conoscevano il caso da anni mi hanno detto "Hai fatto un buon lavoro".